Oggi c'è il sole. Un sole timido,
smorzato da una nuvolosità diffusa. L'aria è tiepida e leggermente ventilata. Tempo
ideale per andare in bici. Non pioverà, oggi. E' già piovuto ieri, 11 giugno 2000.
Se la pioggia battente ne ha fermati mille,
altri duemila non si son lasciati spaventare e la Gran Fondo Barilla è iniziata
all'insegna del bagnato fradicio al primo colpo di pedale.
Ad essere più esatti la GF Barilla è iniziata il giorno prima, nel senso che novità di
quest'anno è stata la cena-pasta-party della vigilia. Nel mega-tendone appositamente
allestito, ci siamo ritrovati con Gianantonio di Milano e la sua signora, Loredana e Mario
di Asciano Pisano. Immancabile Anna, mia moglie e segretaria del Gruppo, e ovviamante me.
A sorpresa è anche arrivato Mario di Malta, che per compensare la rinuncia alle altre
prove del Prestigio per motivi logistici, si è concesso il piacere di un'altra granfondo
con il Gruppo. Graditissima la "visita di cortesia" da parte del Presidente
dell'Assofondo sig.Elvezio Pierandi, parte attiva nel far aumentare da quest'anno il tempo
massimo del lungo da 8 ore a 9 ore, cosa essenziale per la nostra partecipazione..
Rinunciatari Bruno di Cotignola (per non
compromettere la durissma prova della Campagnolo che lo aspetta domenica prossima) e il
tandem Loredana e Mario, noi senzafretta ci siamo ritrovati in sella in quattro
(Gianantonio, Mario di Malta, Fulvio di Milano e me). Con l'adesione occasionale di
Giorgio di... (lo sapremo se ci ricontatterà) avremmo potuto essere in cinque, ma la
pioggia ha messo fretta a Gianantonio, che è finito con l'andare per suo conto ed
anticipare tutti. Ma, ecco come è andata.
Siamo
partiti da poco più di mezzora e la macchina n.12 dell'organizzazione viene a
sollecitarci: "Siete in ritardo di 10 minuti, così andate fuori tempo
massimo!". Al momento i nostri contachilometri stanno segnando una media di 23 km/h,
probabilmente falsata dall'azzeramento fatto proprio sulla linea del traguardo, una decina
di minuti dopo la partenza dei primi. "E' il ritardo della partenza. Dopo
recuperiamo."
Non passa neppure un quarto dora e di nuovo la vettura n.12 torna a segnalarci che
stiamo procedendo fuori tempo massimo. Con un perentorio: "Noi vogliamo arrivare in
fondo, voi fate quello che dovete fare!" ci liberiamo del fastidio. La vettura ci
sorpassa, ma il carro-scopa, che ignora i ciclisti appiedati per forature (evidentemente
ci sono altri mezzi per recuperarli nel caso decidessero di rinunciare, o no?), continua a
seguirci e si ferma ad aspettarci quando necessità ci impone una sosta fisiologica.
Stiamo incrociando numerosi ciclisti che tornano indietro e non possiamo non pensare alla
vettura n.12 ed alla sua opera di "spingere" al ritiro o ad andare più forte
fino a stroncarsi già alla prima salita. Un'inizio decisamente scoraggiante e
controproducente per una gran fondo che vuol crescere di numero. Quando mai alla Nove
Colli è successo qualcosa del genere!.
In perfetto orario arriviamo al ristoro di
Calestano, gestito da personale veramente cordiale e quasi dispiaciuto che non ci sia più
nessuno dietro di noi. In realtà qualcun altro arriva su.
Non piove quasi più e l'aria si è fatta tiepida. Facciamo conoscenza con i ragazzi del
fine-corsa e, come consuetudine, diamo loro le nostre tabelle di marcia. Li
tranquillizziamo:. "Non è necessario che ci stiate dietro passo passo. Muovetevi sul
percorso ad assistere anche gli altri ed "intercettateci" di tanto in
tanto".
Si riparte in salita sulla rampa di Lesignano Palmia. Fulvio si attarda con Giorgio,
mentre io e Mario cominciamo a pedalare sull'andatura del giro lungo. Al ristoro di
Fornovo, dove fingiamo di passare a tutta per fermarci allultimo momento con una
energica frenata, ci stanno aspettando. Forse hanno avuto indicazione di chiudere dopo il
passaggio dei senzafretta, per cui non trascuriamo di precisare che quelli del corto sono
più indietro. Ripartiamo freschi e di buon umore per affrontare il primo "pezzo
tosto" della giornata: Monte Cassio. Il tempo sta decisamente migliorando.
La salita inizia a Piantonia e rispetta appieno il nome della località. La pendenza va
subito su punte del 10%, ma i tornanti la rendono ben sopportabile. Soprattutto fa grande
effetto e conforta vedere "sotto" la strada già fatta e la vallata sempre più
lontana. Col salire la pendenza si addolcisce ed il panorama si allarga in modo
fantastico. Raggiungiamo ed oltrepassiamo diversi ciclisti. Suggeriamo loro di aspettare i
senzafretta del corto che son dietro, ma quando dall'ultimo tornante lanciamo uno sguardo
verso il basso non riusciamo a scorgerli. Peccato, ci sarebbe piaciuto salutarli ed
incoraggiarli da quassù!
Al bivio fra i due percorsi, il tempo gioca
il suo bluff: le nuvole lasciano intravedere un pallido sole. E noi andiamo dritti, verso
la montagna nascosta fra le nuvole. Siamo convinti che per quando arriveremo in vetta se
ne saranno andate, ma forse vogliamo solo crederci e non ascoltare la voce dell'esperienza
che ci dice il contrario.
Come nella "Storia Infinita" un grigiore sempre più oscuro porta via il
paesaggio e riprende a piovigginare. La salita non è dura, ma... infinita.
Nella nebbia sentiamo avanti a noi il tipico
rumore di un "ristoro che viene smantellato", ben conosciuto da chi molto spesso
si ristora mentre gli addetti cominciano a chiudere baracca e burattini. Acceleriamo e
piombiamo davanti ai tavoli vuoti: "Fermi tutti, siamo arrivati!" La sorpresa di
vederci emergere dalla nebbia e la battuta provocano un attimo di spavento. Poi veniano
rifocillati con affetto e, perchè no, ammirazione. Ci riferiscono, quasi a giustificarsi,
che il carro-scopa è passato dicendo che non c'era più nessuno. La qual cosa mi fa
decisamente arrabbiare: una settimana di batti e ribatti telematico con gli organizzatori
praticamente inutile!
Ma non è solo questo a guastarci il piacere della salita successiva verso Monte Marino:
sta piovendo di nuovo e non poco.
In vetta cè un ristorante molto
caratteristico. Sarebbe saggezza o viltà entrare dentro, asciugarsi e farsi venire a
prendere (magari ingannando lattesa con un bel pasto caldo)? Siccome non siamo nè
saggi nè vili, ci fermiamo appena il temo di indossare la mantellina antipioggia e ci
buttiamo in discesa con decisione.
Se non fosse per lacqua che ci arriva da tutte le parti sarebbe anche un bella
discesa, una di quelle che ti ripagano della fatica fatta con lebrezza della
velocità.
Lassistenza meccanica al bivio di Berceto ha trovato riparo sotto il cornicione di
una casa e tiene pronte ben allineate due ruote. Ci gridano che dobbiamo girare a
sinistra.
La salita verso il Passo del Sillara è una
vera salita di montagna, inizia abbastanza dolcemente per prendere subito delle belle
pendenze del 9-10%. Sta piovendo fitto, ma il rumore della pioggia è molto spesso
superato dal rumore di cascatelle che non riusciamo a vedere sia per la fitta vegetazione
sia per le nuvole che avvolgono tutto. Di tanto in tanto, qualche circoscritto diradamento
ci lascia intravedere spuntoni di roccia e macchie di alberi. La strada è abbastanza
malridotta e la pioggia vi ha trascinato un'infinità di terriccio e pietruzze.
TLONGH!
"......................!!!! (espressione di disappunto in maltese, meglio non
tradurre) Pio, un razzo (raggio) è brooked (rotto)!"
Rompere un raggio su una ruota superleggera a 18 raggi radiali ha un effetto...
devastante. L'unico "rimedio" possibile, oltre a legare il raggio con del filo
plastificato (recuperandolo dal numero di gara fissato al manubrio), è aprire
completamente il freno posteriore.
Riprendiamo a salire con più decisione per recuperare la sosta imprevista.
Piove veramente forte e piove veramente
forte anche allarrivo di Parma. Fulvio sta concludendo il suo corto, preceduto da
Giorgio che, dopo essersi fatto aspettare anche sullultima salita, ha dato libero
sfogo alle sue notevoli doti di passita.
Sento uno strano sfrigolio ripetersi
ciclicamente ad ogni giro della ruota. Dovrebbe mancare circa una chilometro al Passo ed
ho forato la ruota anteriore, un foro piccolissimo, e l'aria che fuoriesce fa le bollicine
al passaggio sulla strada pregna d'acqua. E' la mia prima foratura in cinque anni di gran
fondo, non posso quindi neppure lamentarmi. La mia cura preventiva di inizio stagione
consiste nel sostituire copertoncini, camere d'aria e cintini a prescindere dalla stato di
usura ed ha sempre funzionato. Quest'anno l'ho fatto solo per la ruota posteriore. E'
quindi giusto che quella davanti, forse offesa, si prenda la rivincita.
Per la verità, al momento, non sto pensando in modo così sereno.
Mario vuole fermarsi ad aiutarmi.
"No, no. Tu vai avanti."
"Ti aspetto in cima."
"No... E vai piano in discesa, piaaanooo... Puoi usare solo il freno anteriore!"
La sostituzione della camera d'aria è
un'operazione che va fatta con calma senza trascurare d'ispezionare il copertoncino e
trovare la causa della foratura. Mica facile, sotto un mezzo diluvio. Più per fortuna che
per abilità riesco a trovare un piccolo, quasi invisibile, frammento di pietra ancora
conficcato sul battistrada.
Con la pompettina d'emergenza non riesco a gonfiare granchè e mi consolo pensando che con
la pioggia è meglio tenere la pressione più bassa, tant'è che sgonfio un po' la ruota
posterione. Ho freddo e riparto a tutta, svalico e mi butto sulla discesa alla massima
velocità possibile. L'asfalto è molto rovinato e devo inventare traiettoie assurde per
cercare di rimanere sui lembi di strada ancora buoni. Sono preoccupato per Mario. Qualche
dosso rallenta la mia foga. Di Mario neppure l'ombra. Sono un inguaribile ottimista, ma il
tarlo del dubbio di non averlo visto perchè caduto chissà dove mi lavora nel cervello.
Alberi e rocce, rocce ed alberi., nebbia e nient'altro. Auto non ne passano. Niente,
nessuno a cui chiedere. Sono molto preoccupato.
All'improvviso mi trovo in mezzo alle case. E' il paesino di Bosco. C'è il cartello
"RISTORO A MT.100". Ho ancora il fiato in gola quando vedo un bel numero di
biciclette da corsa appoggiate ad un muretto. C'è anche un furgone dell'organizzazione
che sta caricando roba. Sto per recuperare voce e lanciare l'allarme, quando Mario mi
compare davanti. Tranquillo, sta mangiando una banana.
Ci sono altri ciclisti ritirati e gli addetti al ristoro mi invitano ad entrare nel bar
per un thè caldo. Li ringrazio, non ho più freddo. Un tocchetto di parmigiano, una
banana e una crostatina e sono pronto per ripartire. Mario si è già rassegnato al
ritiro.
Lo saluto: "Ciao, il cavaturaccioli m'aspetta."
Ma quando mi vede risalire in bici: "Un momento... andiamo insieme?"
"Certo, insieme. Ma c'è ancora tanta discesa... e con quella ruota..."
"Piano piano in discesa... forte forte in salita"
"Mi vuoi morto!... vabbè, dai subito, sennò..."
La discesa è infinita e la strada proprio
malridotta. Pur scendendo pianissimo è impossibile evitare le buche, ce ne sono troppe.
Dalla ruota di Mario, che oscilla paurosamente, mi arrivano sinistri cigolii ed io sto
dietro, concentratissimo, quasi a volerla tenere insieme con il pensiero. Non guardo più
il paesaggio, giusto le frecce del percorso, tante e ben visibili con il loro classico
colore arancione. Gli incroci ed i cambi di direzione sono segnalati con largo anticipo,
inoltre la segnaletica indica la giusta direzione anche in corrispondenza di stradine che
nessuno si azzarderebbe mai ad affrontare con una bici da corsa.
Il passaggio di uno stretto ponte, forse
Ponte Romano, ci regala due panorami da cartolina. Purtroppo la macchina fotografica è
mezza annegata nell'acqua che è penetrata nel marsupio e non funziona più. Ma non ho
tempo per arrabbiarmi, siamo sull'altro versante della vallata, la strada scorre con una
pendenza molto più dolce e leggere curve, quasi dritta. E' il momento di forzare per
recuperare qualcosa. Incrociamo anche il carro-scopa che è venuto ad intercettarci. Ora
ci sentiamo molto più tranquilli ed i dossi non ci rallentano più di tanto. Dopo tanta
salita e discesa al rallentatore, ora i chilometri stanno scorrendo velocemente e
velocemente stiamo arrivando alla salita più attesa: il valico di Fragno. Al ristoro di
Calestano ci hanno spiegato che è chiamato il "cavaturaccioli", per via della
pendenza e delle stretta sequenza di curve, come dire che la strada si avvita sulla
montagna con pendenze del 20-25%.
Deviazione a sinistra ed ecco subito davanti
la prima rampa. Passo precipitosamente dal 50x17 al 30x26. Troppo in fretta. Mentre giro
freneticamente a vuoto, Mario intona il suo personale motivetto di auto-incoraggiamento.
No, non è un 25%, neppure un 20%, forse un 15% od un 18% passando stretti sulle curve, ma
non c'è alcun motivo per farlo. Il carro-scopa è avanti a fermare eventuali macchine in
senso contrario. Fra una curva e l'altra la distanza non supera i 30-40 metri e questo è
di grosso vantaggio psicologico. Nonostante la bassissima velocità si ha un oggettivo
riscontro del procedere in avanti e dopo neppure mezzo chilometro sembra di aver fatto
tanta strada.
La pendenza si attenua e posso cambiare sul 23, poi sul 21, ma alla curva successiva vedo
Mario a metà di una nuova rampa procedere a piedi. Ritorno sul 26. Superato questo
scoglio, la salita si assesta su una pendenza del 6-7%. Una normale salita di collina. Ora
riusciamo a procedere insieme di buon passo. Dopo Cozzano c'è ancora da salire per un po'
e svalichiamo mentre l'addetto al rilevamento elettronico sta smontando la postazione.
Con estrema cautela scendiamo verso
Calestano. La discesa sembra molto più lunga della salita, al contrario di quanto
normalmente avviene. Arriviano al paese. Ora la strada è più adatta per forzare un po',
ma non il tempo. Siamo nel bel mezzo di un "nubifragio". Sembra essersi fatto
notte. "Che sono già le nove?" dico a Mario, che non mi capisce, ma cerca di
aumentare l'andatura. C'è molto traffico e le auto hanno i fari accesi. Noi, per essere
visti, facciamo affidamento sui fari del carro-scopa che ci tallona da vicino. A
Sant'Ilario finalmente si gira a destra ed usciamo, per così dire, dalla
"bagnarola".
Quando affrontiamo le rampe di Barbiano piovviggina appena. E' nostra tradizione gustare
quanto più possibile l'ultima salita, invece questa volta andiamo su appaiati, al massimo
delle nostre possibilità, quasi a fare una volata (amichevole) ad ogni fine-rampa.
Il solito grande cartello blu ci annuncia il
ristoro e che il prossimo sarà... all'arrivo. Veramente bella ed utile questa segnaletica
di tipo autostradale, ben piazzata prima di ogni ristoro o rifornimento!
Gli addetti al ristoro si sono rifugiati sotto la tettoia della casa di campagna.
"Scusate il ritardo!"
Un coro festoso ci saluta.
"Vi va del buon vino?" ci chiede dalla porta il "capo", probabilmente
proprietario della casa.
"Certo, ma abbiamo i minuti contati"
Sparisce per poco e torna con formaggio, prosciutto appena affettato ed una bottiglia di
spumante: "Non si può bere senza mangiare!"
"Abbiamo solo 40 minuti. Quanto manca all'arrivo?"
"15-16 chilometri, ma è tutta discesa."
"Accidenti, tutta tutta discesa? Con quella ruota in discesa siamo fermi!"
"Ma dai, che è fatta!" e stappa lo spumante.
Mangiamo al volo, brindiamo e ripartiamo, prendendo in contropiede i ragazzi del
carro-scopa. "Fate pure con calma e, poi, vediamo chi... arriva prima!" Siamo
proprio di buon umore.
Per fortuna la discesa è breve e Mario è diventato un esperto nell'affrontare con un sol
freno le curve più insidiose.
"Ora, si va a tutta... dai,
Mario!"
-10 all'arrivo ed abbiamo meno di mezzora, non piove più e con la mantellina antipioggia
ancora su fa caldo. Naturalmente il vento è contrario, ma la voglia di arrivare è tanta.
Teniamo una buona andatura, ma non trascuriamo di rispettare un paio di stop. Il
carro-scopa suona ripetutamente il clacson per incitarci e "aprirci" la strada.
Ultimo chilometro. Ci fermiamo un istante a
toglierci le mantelline, ormai siamo certi di farcela pure a piedi. Entriamo nel campus
ben lanciati. Il vialone d'arrivo è in avanzato stato di smantellamento. Non cè
più quasi nessuno. L'orologio digitale, sotto l'arco d'arrivo, è ancora funzionante e
segna "8.50..." e qualcosa. Oltrepassiamo i tappetini con un unico e lungo
BBEEEEPP. E' fatta!
Prima di noi ne sono arrivati duemila. Per
chi sta lì è normale che si arrivi. Invece noi siamo commossi e ci abbracciamo. Per noi,
è stata una VERA IMPRESA.